Il giardino è a pieno titolo un’idea ricorrente, espressione di unità, chiave entrata a far parte di ogni storia veramente filosofica del pensiero moderno.
Massimo Venturi Ferriolo presentazione a L’Arte dei giardini di Pierre Grimal
Fin dai tempi più remoti, l’uomo ha subito il fascino della natura, attratto dalla sua proprietà di rigenerarsi costantemente, trasformando la morte in vita. Considerando che, agli inizi dell’era storica, il mondo era ricoperto, per la maggiore parte della sua superficie, di boschi e foreste, si può immaginare quale potente impatto ebbe la vegetazione sull’uomo primitivo, che si sentiva difeso all’interno dell’intrigo vegetale e totalmente dipendente da esso per quanto riguarda la conduzione della vita. In fondo, le piante sono in grado di produrre autonomamente il nutrimento di cui hanno bisogno, mentre l’uomo dipende totalmente dal regno animale e vegetale.
La natura fu considerata divina immagine del principio della trasformazione e della rinascita.
Per questo motivo, ogni civiltà antica vi ha cercato protezione, profezia, salute e nutrimento. Gli uomini percepivano le piante come esseri dotati di vita propria, con i quali non era possibile comunicare, se non a livello sublimale.
Ben presto, nacque l’esigenza di entrare in contatto con le forze naturali, e l’intento fu quello di ritagliarsi uno spazio vivo e vitale, mettendo ordine al caos rappresentato dalla natura selvaggia.
Le foreste ed i boschi diventarono templi sacri, dove le popolazioni celebravano i loro riti d’iniziazione più importanti e dove entravano in contatto con l’ignoto e l’oscurità.

La prima pianta addomesticata fu la palma, un albero dalle singolari particolarità sessuali. Il nome greco phoenix lascia intendere un’associazione con il Sole e con Apollo-Elio a Delfi e a Delo.
Il simbolismo della palma potrebbe essere evocato dalle sue foglie simili a raggi. Evocò anche il simbolo dell’immortalità, della vittoria e della gloria.
Se il seme viene gettato a terra da una mano amorosa ha una maggiore facilità che germogli e dal germoglio si avrà un frutto migliore. E ricordatevi che la mano amorosa colloca per ogni buca tre semi: uno è destinato al corvo, uno è destinato a morire e uno è destinato a crescere.
da Trattato sull’horto fiorito – XVI secolo
Accedere nella foresta significa attraversare la soglia del conosciuto per penetrare in un mondo spirituale e comprenderne i significati più sottili. Il ritiro nella foresta significa isolarsi dal mondo, in una sorta di morte apparente prima della rinascita iniziatica.
Infatti, in molte rappresentazioni mitologiche, l’eroe si avvia alla crescita individuale partendo da uno “smarrimento” nella Grande Foresta, dove incontra pericoli e prove, ai quali deve fare fronte per accedere ad un livello superiore, mettendosi a contatto con gli spiriti del passato e dell’aldilà. Nella natura egli trova l’elemento magico e irrazionale, attraverso il quale ottenere il dominio su forze specifiche.
Il momento storico in cui quest’esigenza fu traslata nell’immagine di un giardino fu quando l’uomo passò dalla sua condizione nomade a quella stanziale, stabilendosi in gruppi tribali stabili che avevano bisogno di mantenere un contatto con le forze ignote della vegetazione. Portare all’interno del villaggio un po’ della magia delle piante fu un modo per propiziarsi salute, ricchezza e protezione, cercando di ricostruire la foresta in uno spazio limitato.

L’acanto ispirò il simbolo delle belle arti: Plinio il Vecchio nei suoi trattati di botanica, nel 50 D. C., suggeriva le piante d’acanto per ornare le prode dei giardini romani. L’architetto ateniese, Callimaco, nel 500 a.C. scolpiva i capitelli delle colonne con foglie d’acanto, diventati poi l’emblema dello stile corinzio.
La leggenda greca narra di una fanciulla corinzia morta precocemente; per questo la nutrice depose sulla tomba una cesta con i suoi oggetti più amati, ricoprendola con una tegola quadrata per proteggerla dai furti.
In primavera, l’architetto Callimaco passò da quelle parti e notò che la tegola era sollevata da un cespuglio armonioso di foglie d’acanto, cresciute sul sepolcro ad indicare l’immortalità della fanciulla. Sembra che la visione ispirò l’idea del capitello corinzio.
Le foglie d’acanto furono anche adottate dall’architettura cristiana per simboleggiare la resurrezione. Talvolta dalle foglie fuoriuscivano teste umane, quasi a rappresentare la rinascita alla vita eterna ed è proprio questo particolare a legarle alla leggenda greca.
Ecco il rosmarino, è per il ricordo,
ti prego di ricordare l’amore.
Shakespeare, Amleto
Etimologicamente le parole cultura e culto derivano dalla stessa radice e sono collegate al simbolismo del giardino edenico, attraverso l’intermediazione del vocabolo latino colere, curare. Il giardino doveva essere curato, così come la venerazione della divinità. Queste due parole e i concetti da esse rappresentati erano l’espressione dell’attività umana attraverso la quale il terreno era dissodato, preparato e addomesticato. Il giardino acquisì, così, la connotazione di ripetizione microcosmica della Creazione e simbolo della civiltà. Avere cura della natura significò avere premura del proprio giardino interiore e ancora di più, sentire il potere dell’influenza celeste di cui l’uomo subiva la sorte.
La connessione tra i termini cultura, coltura e culto ispira altresì la sensazione che la creazione dei giardini fu fortemente permeata da esigenze religiose, acquisendo la valenza di luoghi depositari della conoscenza relativa al rapporto uomo-natura-divino.
Ogni mitologia personalizzò la natura, riflettendola nell’immagine ideale di un giardino, in altre parole un luogo delimitato e protetto, in cui l’opera umana diveniva un intervento sul mondo celeste, dal quale prendeva vita la sacralità della magia e del rituale.

Nel Medioevo la mandragora fu considerata una sorta di rimedio universale. Secondo la leggenda, si credeva che potesse crescere sotto i patiboli dallo sperma e dal sangue degli impiccati e decapitati.
Poteva essere estratta dal terreno osservando determinate precauzioni; infatti, si reputava che, appena colta, emettesse uno straziante grido di dolore che poteva provocare la morte. Era allora asportata con l’ausilio di cani affamati, destinati poi a morire, per evitare che la collera ed il dolore della pianta facessero morire l’operatore.

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